GEMME - Germoglio #14/25
Tra parole che curano e silenzi che parlano, Nina ci accompagna nel tempo sospeso delle gemme: quando non si è più lì, ma nemmeno ancora qui.
Nelle settimane scorse ho ricominciato a camminare nel bosco.
Passando tra gli alberi, ancora spogli alla fine dell’inverno, mi capitava di notare piccoli bagliori sulle estremità dei rami. Minuscole gemme, ancora chiuse, ma vive. Sospese.
Mi colpisce sempre questo: il fatto che le gemme non abbiano fretta. Che stiano lì, con tutta la loro forza silenziosa, a ricordarci che crescere non è sempre visibile. Che anche il trattenersi può essere un atto di fiducia. Che ci sono momenti in cui il solo stare è già un miracolo.
È da questo pensiero che nasce il tema del mese.
Le gemme, nel loro essere né seme né fiore, sono soglia, passaggio, promessa. E avevo bisogno di qualcuno che sapesse raccontarle così: con rispetto, grazia e profondità.
Nina è una giornalista straordinaria, ma anche molto altro: wellness coach, scrittrice, mente brillante e anima luminosa. È la voce (bellissima) dietro TERRACIELO, una delle newsletter più ispiranti che io abbia mai letto. Una di quelle che aspetto con ansia, perché ogni volta riesce a sorprendermi e a nutrirmi, dentro e fuori.
È stato un libro a farci incrociare, ma da allora è stato il suo esempio – gentile, profondo, mai scontato – a ispirarmi davvero, anche nel mettermi a scrivere Germogli.
Oggi sono felice di condividere con voi la sua voce. Perché se c’è qualcuno che sa riconoscere e raccontare gemme, è proprio lei.
Come le gemme: non più qui, non ancora lì
di Nina Gigante
C’è un libro che porto con me ovunque, dal 2005. L’ho comprato una mattina, facendo un salto nella libreria accanto all’università. E, da allora, l’ho portato con me in tutte le case che ho abitato nel mondo — Bari, Rotterdam, Amsterdam, Barcellona, Cambridge, Londra, Milano e ora, qui, Foligno — quasi fosse un amuleto. Ha abitato i miei comodini, gli scaffali di librerie improvvisati, le valigie, i materassi sul pavimento, i tavoli della colazione. È Io con vestito leggero di Livia Candiani. Chandra, quando ancora non si chiamava Chandra. Un libro che per me è corpo e respiro, radice e vento.
Dentro c’è una poesia che, ogni volta, mi riporta a casa. E dice così:
C’è una fontana
in un punto esatto
dentro al petto
ci vanno a bere gli uccelli
parole di legno
lasciano cadere le foglie
che scrivono sull’acqua:
Non più qui non ancora lì
Livia Candiani, Io con vestito leggero (Campanotto editore).
È da lì che vi scrivo adesso perché è lì che mi trovo. In quel punto esatto al centro del petto. Dentro una soglia difficile da abitare, una di quelle che tendiamo a voler superare in fretta. Le soglie non sono mai luoghi facili da abitare. Chiedilo a chiunque sia stato costretto a lasciare casa sua per attraversare una frontiera. Le soglie sono margini, frizioni, slabbri. Sono cariche di tensione: sono spazi in-between, spazi dell’anima in cui qualcosa preme per nascere, ma ancora non è tempo. Le soglie sono gemme.
Le gemme sono così. Non sono né seme né fiore. Non stanno nel prima e nemmeno nel dopo. Sono un ponte tra quello che non è più e quello che non è ancora.
«Tra me e te vorrei piantare un frutteto» dice Scotellaro, il poeta contadino, in altri versi che amo. E, crescendo (edit: invecchiando!), mi accorgo che mi piacerebbe sempre più spesso piantare frutteti dentro le parti di me che ho lasciato più incolte, per distrazione o paura, quelle che non hanno un nome, ma reclamano cura.
Come se anche lì, senza che me ne accorgessi, stesse già succedendo qualcosa. Le gemme, a cui Cristina mi ha chiesto di dedicare questa puntata un po’ speciale di Germogli, si formano quando la pianta ha raccolto abbastanza forza per ricominciare a fiorire, ma ancora non può farlo.
Le gemme sono chiuse, ma non sono ferme. Le gemme contengono già tutto. Ma niente è ancora evidente. Proteggono. Si proteggono. Si aspettano, soprattutto.
Un po’ come quando tutto in noi preme, ma ancora non si apre.
Primavera è tempo di allergie e io mi scopro sempre più allergica in questa stagione alla retorica in cui spesso mi imbatto sui social: “Fiorisci”. “Sboccia”. “Rinasci”. “Sii la versione migliore di te”. Bleah.
Come se fossimo tutte e sempre nella stagione giusta per fiorire. Come se bastasse volerlo, per sbocciare. Mai nessuno che ti dica cosa fare se non ti senti pronta. Se non è il tuo tempo. Se la tua gemma sta ancora valutando se sia sicuro aprirsi.
E in quel momento, se sei più vulnerabile o solo più stanca, rischi persino di sentirti sbagliata. Come se non stare al passo fosse colpa tua. Come se il tuo attendere fosse un difetto, peggio una colpa.
Nella Medicina Tradizionale Cinese che ho studiato e che amo, questo è il tempo del Legno: l’energia del Fegato, quella che vuole espandersi, orientarsi, trovare la sua direzione. Ma se non ha spazio, se trova ostacoli (emotivi, fisici, relazionali) questa energia si blocca. E il corpo lo manifesta: con tensioni sotto le costole, mestruazioni dolorose, insonnia, irritabilità, digestione che si inceppa, fame nervosa, mal di testa, occhi gonfi. Più che correre a cancellare il sintomo, quindi, occorre aspettare: mettersi in ascolto, capire da dove arriva quel dolore, quel blocco, quel fastidio. Aspettare, ascoltarlo, ascoltarsi.
«Il corpo è segreto come un animale, un neonato, un albero, come una poesia; è necessario imparare ad ascoltarlo, a interrogarlo, a saper stare nel suo silenzio e nella sua grammatica sensoriale di battiti, bruciori, stretture, evanescenze, fitte, spiragli, allagamenti, ghiacciai e incendi» dice sempre Chandra Livia Candiani in un libro molto più recente, I visitatori celesti.
E allora oggi, a te e me stessa, dico solo questo: Aspéttati.
Nel senso più botanico e radicale del termine. Tieniti al caldo, nell’attesa. Senza fretta. Senza giudizio. Non metterti in scena per dovere, per abitudine, per paura di essere invisibile.
Stai. Come fanno le gemme.
Se vuoi, ti regalo una piccola pratica, la facciamo insieme?
Siediti comoda.
Porta una mano al centro del petto, dove vanno a bere gli uccelli, l’altra sulla pancia.
Chiudi gli occhi.
Non cercare di cambiare nulla. Solo senti.
C’è un punto che pulsa? Un luogo che trattiene?
Un dolore sordo che emerge?
Rimani lì. Come fossi una gemma.
Respira.
Non devi fare nulla. Solo restare.
E tu, che forse come me “non sei più lì ma nemmeno ancora qui”, ricordati che sei già tutta intera. Anche adesso. Anche così. E questo, anche questo, è prepararsi a fiorire. O, come piace dire a me ogni giovedì su Terracielo, anche questa è Medicina.
Medicina è ricordarsi che abbiamo bisogno di sicurezza per fiorire.
Ne ho parlato anche in questo post che ha toccato molte di voi.
Se ti risuona, forse è perché anche tu, come le gemme, non hai bisogno di spingere. Hai, al contrario, solo bisogno di sentirti al sicuro. Dentro la gemma che sei.
Per questo oggi sono immensamente grata di poter ospitare qui Nina Gigante.
Chi conosce la sua newsletter TERRACIELO sa già che le sue parole hanno il potere di toccare l’anima. Accompagna ogni settimana migliaia di lettrici in un viaggio fatto di ascolto profondo, cura e poesia del quotidiano. La sua scrittura, limpida e viscerale, è una medicina gentile.
Per me, Nina è stata una guida preziosa – nella scrittura, nel quotidiano, nella lentezza. Il suo modo di guardare il mondo mi ha ispirata più di quanto riesca a raccontare. E oggi, con una generosità che mi commuove, ha scelto di portarci dentro uno spazio raro, vivo, necessario.
Ti invito a entrare in punta di piedi.
Ad ascoltare con il cuore.
E, se puoi, a restare. Come fanno le gemme.
Che preziosa sei, Nina! Per me è un onore averti qui, tra queste parole che sanno di semi e radici. La tua voce è una carezza, un rifugio e un invito: a stare, ad ascoltare, ad aspettarsi. Grazie per averci portato la tua gemma, così piena e delicata insieme.
grazie a te, Cri, hai costruito uno spazio prezioso e raro che io aspetto e leggo sempre con grande cura. Allora stiamo. Aspettando buone nuove dalla terra a cui io e te pensiamo notte e giorno. E speriamo di riabbracciarci presto, anche per festeggiare la pace.